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Mercato ittico ed etichettatura errata: un’indagine rileva il problema nel 36% dei campioni analizzati.

Gli errori di etichettatura sono uno dei principali problemi che interessano il mercato ittico, non è infatti difficile imbattersi in notizie che trattano proprio di questo argomento.  

L’indagine condotta dal quotidiano britannico The Guardian, ha preso in esame 44 studi nei quali sono stati esaminati, tramite analisi genetica, un totale di 9000 prodotti ittici. Di questi il 36% risulta etichettato in modo errato. 

Il problema sembra interessare in egual modo i paesi del vecchio e del nuovo continente e gli errori sono stati individuati in diversi punti della filiera: nei mercati, nelle pescherie, nei ristoranti e nei supermercati. 

Gli studi mostrano che gran parte delle sostituzioni riguarda specie di alto valore. Tra le più problematiche troviamo il tonno, le sogliole e le cernie, spesso sostituite da razze simili o addirittura da specie differenti ma di minor valore, come il pangasio o il pesce gatto. 

Mercato ittico
diagonal for fresh fish at the Modiano fish market in Thessalonika, Greece

Gli errori colpiscono non solo il pesce ma anche i frutti di mare. Ad esempio in Germania il 38% dei campioni prelevati da ristoranti e supermercati, dichiarati come capesante reali, sono risultate essere capesante giapponesi, specie di minor valore.

Il problema interessa anche i prodotti lavorati nei quali la sostituzione può essere facilitata dalla perdita delle caratteristiche morfologiche. Il caso più eclatante è quello delle polpette di gambero vendute a Singapore che contengono alte percentuali di carne di maiale.

Dall’indagine non è esclusa l’Italia. Nel nostro paese infatti 45,4% della carne di squalo analizzata non corrisponde a quanto riportato in etichetta. La famiglia degli squali racchiude moltissime specie, alcune delle quali commestibili e comunemente consumate nel nostro Paese, come ad esempio il palombo. È proprio questa specie ad essere tra le più soggette ad etichettatura errata e sostituita con altre di minor valore come il gattuccio (Scyliorhinus canicula) e la verdesca (Prionace glauca). 

Un problema economico ma non solo 

Nonostante alcuni di questi studi si focalizzano su specie note per essere problematiche, la vulnerabilità del settore ittico è innegabile. La filiera dei prodotti ittici è lunga e complessa, i punti critici sono molti e non sempre è possibile effettuare controlli. Questi aspetti favoriscono le sostituzioni più o meno volontarie di specie. A questo si aggiunge il problema della nomenclatura che offre la possibilità di vendere specie diverse sotto lo stesso nome. 

Tutto questo ha delle conseguenze non solo economiche ma anche per la salute.

Le prime sono ben evidenti, consumatori, ristoratori e rivenditori si trovano ad acquistare un prodotto di minor valore rispetto al prezzo pagato subendo così un danno.

Meno evidenti sono gli aspetti salutistici e nutrizionali. Specie differenti contengono diverse quantità di nutrienti come acidi grassi polinsaturi e omega-3. Inoltre, alcune specie possono essere maggiormente soggette a parassiti che possono portare ad intossicazioni come ad esempio nel caso del ciguatera.

Il problema incide anche sulla sostenibilità in quanto le sostituzioni possono infatti interessare specie vulnerabili o in via di estinzione.  Ad esempio, uno studio del 2018 riguardante il mercato ittico britannico mostra che il 70% dei prodotti venduti come dentici appartiene in realtà a 38 specie diverse, molte delle quali provenienti da habitat minacciati dalla pesca eccessiva.

Saper promuovere l’eccellenza

L’indagine condotta da The Guardian mostra, in primo luogo, la validità delle analisi genetiche come strumento di controllo della filiera, ma queste possono essere utilizzate anche come strumenti di prevenzione e di valorizzazione dei propri prodotti. 

Ne è un esempio l’azienda canadese Organic Ocean che, in collaborazione con l’Università di Guelph, ha creato un programma di autenticazione per i propri prodotti. Questo si basa su controlli a campione, lungo tutta la catena di approvvigionamento, effettuati attraverso analisi genetiche che sfruttano la tecnica del DNA barcoding, la stessa utilizzata da FEM2-Ambiente. 

Questo lavoro, seppur impegnativo, consente ai consumatori di avere la certezza di quello che stanno acquistando e, allo stesso tempo, all’azienda di aggiungere valore al proprio prodotto con risvolti positivi sulla propria immagine. Articolo completo: https://www.theguardian.com/environment/2021/mar/16/fish-detectives-the-sleuths-using-e-dna-to-fight-seafood