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Casi di intossicazione in provincia di Napoli, non era mandragora.

Massima allerta nel Napoletano dove, nella notte tra il 5 e il 6 ottobre, cinque persone si sono recate in ospedale accusando problemi intestinali, allucinazioni e dolori intensi dopo aver consumato un piatto di spinaci. Ad oggi le persone ricoverate sono una decina, alcune delle quali in gravi condizioni.

Inizialmente i sospetti sono ricaduti erroneamente sulla mandragora (Mandragora autumnalis), un’erba perenne della famiglia delle Solanacee (come i pomodori, le melanzane e i peperoni) originaria delle regioni mediterranee. La mandragora fiorisce in primavera e in autunno emettendo nuovi fiori e nuove foglie che possono essere scambiate per spinaci o biete. 

Tuttavia a distanza di una settimana dall’accaduto e a seguito di alcune analisi effettuate dall’Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno è emerso che il vero responsabile delle intossicazioni sarebbe lo stramonio (Datura stramonium), un’altra pianta simile agli spinaci e potenzialmente tossica. Le verdure contaminate provenivano da Avezzano, in particolare da una partita di spinaci da una coltura a campo aperto. 

Lo stramonio, proprio come la mandragora, è altamente velenoso e contiene un’alta concentrazione di alcaloidi, come la scopolamina, presenti in tutte le parti della pianta, soprattutto nei semi.

Le analisi in laboratorio per riconoscere le specie velenose

In uno studio svolto in collaborazione con i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e dell’Università di Genova abbiamo testato un approccio multidisciplinare per affrontare il problema dell’errata identificazione tra piante selvatiche commestibili e velenose. 

Lo studio prende in considerazione tre tipologie di test:

  • L’analisi con il microscopio ottico, utile per identificare la specie, per la diversa natura e distribuzione dei tricomi di copertura e ghiandolari. 
  • L’analisi del DNA che consente di distinguere con precisione le specie, a causa dell’elevata variabilità genetica intraspecifica.
  • Lo screening fitochimico che rivela l’impronta chimica di ciascuna specie vegetale, utile nella distinzione tra piante velenose e non velenose.

I risultati mostrano che ciascuna delle tre tecniche, utilizzate anche da sole, fornisce informazioni utili per l’identificazione di specie velenose. Il loro utilizzo combinato sarebbe però in grado di semplificare e supportare l’intera filiera agroalimentare e le valutazioni degli esperti dei diversi settori per garantire qualità e sicurezza nei prodotti ai vari stakeholders e al consumatore finale. Inoltre l’approccio combinato può risultare un efficiente strumento anche per aiutare il personale medico nella diagnosi fornendo così informazioni utili per il trattamento appropriato del paziente, proprio come nel caso dello stramonio e della mandragora.