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Tracciare la filiera delle erbe officinali, dal campo allo scaffale, con l’aiuto del DNA.

Secondo i dati pubblicati da Persistence Market Reasearch, il mercato degli integratori alimentari vegetali negli ultimi anni sta subendo un forte incremento tanto che si stima che nel 2025 questo potrà valere circa 65 miliardi di dollari.

A influire positivamente sullo sviluppo di questo settore è senza dubbio l’adozione di uno stile di vita più sano da parte di un numero sempre maggiore di consumatori. Un cambiamento che si traduce nell’acquisto di prodotti di alta qualità e in una particolare attenzione verso le loro caratteristiche organolettiche.

In questo scenario un ruolo da protagonista è ricoperto dalle erbe officinali e da tutti i prodotti da esse derivati.  Integratori vegetali ma anche tisane, estratti, oli essenziali grazie ai loro principi attivi e alle loro proprietà hanno effetti benefici sull’organismo sia a livello fisico che mentale. Tuttavia il loro consumo deve essere sempre effettuato in maniera consapevole in modo da evitare l’insorgere di effetti collaterali.

Il problema normativo

Dal punto di vista normativo la situazione degli integratori vegetali non è del tutto chiara. Ad oggi non c’è una regolamentazione condivisa tra i vari paesi che sia in grado di garantire sicurezza, qualità e controlli adeguati lungo tutta la filiera produttiva. Questa mancanza, aggiunta ad una domanda sempre maggiore di prodotti di elevata qualità, porta all’aumento dei casi di sostituzione e adulterazione legati a frodi o semplicemente a errori che possono intercorrere in tutta la filiera, anche con effetti negativi sulla salute dei consumatori. Diventa quindi necessario identificare metodologie in grado di tracciare in maniera efficiente i prodotti erboristici, dal campo fino allo scaffale, garantendone così gli effetti benefici.

Lo studio

La validità dell’identificazione genetica come strumento in grado di valutare e verificare la qualità e la sicurezza dei prodotti anche a seguito di lavorazioni come l’essiccazione o la macinazione è ormai comprovata. Tuttavia non sempre questa metodologia risulta efficace sul prodotto finito. Lavorazioni troppo aggressive possono portare ad un’eccessiva degradazione del DNA che di conseguenza non può essere utilizzato per eseguire l’analisi.  Lo studio condotto dai ricercatori dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e FEM2-Ambiente nasce proprio con l‘obiettivo di valutare i casi in cui la metodologia del DNA barcoding si dimostra uno strumento efficace per tracciare l’intero processo produttivo, dalla raccolta della pianta officinale fino all’integratore confezionato e venduto al consumatore finale.  

I risultati dello studio, pubblicato su Journal of Applied Botany and Food Quality, mostrano che il DNA tende a conservarsi in quei prodotti ottenuti attraverso trattamenti idroalcolici, con basse percentuali di etanolo (<40%) o con trattamenti con acqua a basse temperature. Inoltre l’estrazione ad ultrasuoni si dimostra quella maggiormente in grado di salvaguardare il DNA della materia prima consentendo la corretta riuscita delle analisi.  In queste condizioni la possibilità di tracciare il prodotto lungo tutte le fasi della sua filiera aumenta notevolmente, incrementando così la possibilità di tutelare il consumatore con prodotti di origine vegetale sicuri e di alta qualità.

Frigerio J., Gorini T., Galimberti A., Bruni I., Tommasi N., Mezzasalma V. and Labra M. (2019). DNA barcoding to trace Medicinal and Aromatic Plants from the field to the food supplement. Journal of Applied Botany and Food Quality 92, 33 – 38, DOI:10.5073/JABFQ.2019.092.005