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20 anni di DNA barcoding 

Sono trascorsi esattamente vent’anni da quando, nel febbraio del 2003, il Dr. Paul Hebert insieme ai suoi tre collaboratori Alina Cywinska, Shelley Ball e Jeremy deWaard, pubblicò l’articolo “Biological Identification Through DNA Barcodes”, presentando per la prima volta al mondo una scoperta destinata a cambiare il sistema di identificazione di tutti gli organismi viventi.

La nuova metodologia, studiata presso l’Università di Guelph, si basava sull’analisi di un segmento del DNA caratterizzante e distintivo di ogni specie che, proprio come un codice a barre con un prodotto, consente di identificare in modo certo e univoco la specie di appartenenza di ogni essere vivente. Per questo motivo, prese il nome di DNA barcoding

Negli ultimi 20 anni il lavoro non si è fermato. Oggi, grazie alle collaborazioni internazionali, il Center for Biodiversity Genomics (CBG), situato presso l’Università di Guelph, dispone e condivide il più grande archivio di sequenze di DNA barcoding al mondo. Nel Barcode of Life Data Systems (BOLD) sono stati raccolti più di 8 milioni di sequenze di DNA barcoding prelevati da esemplari provenienti da tutto il globo. 

Il DNA barcoding è inoltre alla base di molti progetti di ricerca dedicati allo studio e alla tutela della biodiversità e fa parte del piano strategico delle Nazioni Unite per la biodiversità inserito nella Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica adottata nel 1992.  

Dalla biodiversità all’agroalimentare

Nel 2013, quando nel Regno Unito scoppiò lo scandalo della carne di cavallo, il DNA barcoding venne applicato per la prima volta al settore agroalimentare. Proprio grazie alle analisi genetiche fu possibile rintracciare la presenza di carne equina all’interno di prodotti che dichiaravano di contenere il 100% di carne di manzo. 

Grazie alle sue potenzialità e alla sua versatilità il DNA barcoding  continua tutt’oggi ad essere utilizzato in campo agroalimentare ed erboristico con l’obiettivo di indagare e accertare la sicurezza e la qualità delle materie prime utilizzate e dei prodotti immessi sul mercato.

Come avviene quotidianamente nei nostri laboratori, il DNA barcoding è ad esempio utilizzato per rintracciare errori di etichettatura nella complessa filiera dei prodotti ittici, per escludere la presenza di specie contaminanti all’interno di miscele di tisane e infusi, per individuare sostituzioni in prodotti di alto valore come lo zafferano e per verificare la corretta selezione di materie prime per la produzione di estratti e integratori in modo da poter garantire al consumatore l’efficacia del prodotto finito.