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Il DNA barcoding per il controllo di integratori per il trattamento dei disturbi respiratori.

A seguito della pandemia da SARS-CoV-2 è stato osservato un significativo aumento a livello globale nell’uso di integratori alimentari e allo stesso tempo è stato riscontrato un crescente interesse per le medicine alternative, tra cui l’approccio Ayurvedico.

Per quanto riguarda quest’ultimo, tra le piante indicate come utili ad agevolare il trattamento di malattie respiratorie come il COVID-19, troviamo: l’ashwagandha (​​Withania somnifera), l’amla (Phyllanthus emblica L.), la cannella (Cinnamomum verum), lo zenzero (Zingiber officinale), il guduchi (Tinospora cordifolia), il tulsi (Ocimum tenuiflorum L.), la curcuma (Curcuma longa L.), il tribulus (Tribulus terrestris L.), e la vacha (Acorus calamus L.).

L’aumento dei consumi tuttavia ha suscitato crescenti preoccupazioni riguardo a possibili alterazioni, sia intenzionali che accidentali, legate al complesso mercato delle erbe. 

Sulla base di ciò lo studio condotto dai ricercatori della California vuole valutare l’uso del DNA barcoding e l’uso di particolari combinazione di loci (specifiche porzioni di un gene) per l’identificazione delle specie presenti negli integratori erboristici commercializzati negli Stati Uniti e impiegati nel contesto del trattamento ayurvedico dei sintomi respiratori. 

Lo studio 

Per lo studio sono stati presi in esame 54 prodotti sotto forma di capsule (38), polveri (13) e compresse (3) appartenenti a 47 marchi differenti.  

Sono stati individuati come target dell’indagine i nove prodotti erboristici sopra indicati e per l’analisi sono state utilizzate le combinazioni di loci rbcL, matK, ITS2 e mini-ITS2 già utilizzati in precedenza per l’identificazione delle specie vegetali.

Il maggiore successo in fase di amplificazione è stato osservato per ITS2 dove il 64,8% dei prodotti è stato amplificato con successo, seguito da matK (63%) e rbcL (55,5%).

In fase di sequenziamento la percentuale di successo maggiore è stata invece osservata per matK, con un successo nel 46,3% seguito da rbcL (42,6%), ITS2 (24,1%) e mini-ITS2 (9,3%).

La presenza della specie attesa è stata riscontrata nel 38,9% dei campioni esaminati. Inoltre, in 19 campioni sono state individuate specie vegetali non dichiarate, come altre erbe ayurvediche, riso e pepe, mentre in 12 campioni sono state identificate diverse specie fungine. La presenza di specie vegetali non dichiarate potrebbe derivare da una sostituzione intenzionale o da una contaminazione durante le fasi di raccolta e lavorazione, mentre il DNA fungino può essere verosimilmente associato alla sua presenza sul materiale vegetale o nell’ambiente di coltivazione.

Conclusioni

Oggi le metodologie genetiche sono ampiamente utilizzate con successo per l’identificazione di prodotti vegetali, in particolare nel controllo delle materie prime impiegate nelle produzioni. Sebbene queste risultino essere estremamente efficaci anche su prodotti che hanno subito lavorazioni come l’essiccazione o la macinazione, la loro applicazione su prodotti più complessi come integratori o estratti, seppur utile, richiede ulteriori approfondimenti. 

Studi come quella discussa in questo articolo possono fornire ai ricercatori una migliore comprensione delle strategie da adottare per sviluppare soluzioni efficaci in grado di coprire l’intera filiera produttiva.

Un ulteriore esempio di questo genere sono gli studi condotti sul metabarcoding, una metodologia genetica che consente il riconoscimento simultaneo di diverse specie all’interno di prodotti o miscele. Studi di questo tipo sono stati condotti in più occasioni anche dai nostri ricercatori in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano Bicocca. 

Tuttavia, affinché queste metodologie possano essere pienamente sfruttate in modo ottimale da tutti gli stakeholders, sono necessarie ulteriori ricerche nonché una continua collaborazione tra il mondo aziendale e la ricerca scientifica. 

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